“Office Romance”
In ufficio le cose si sanno prima ancora che accadano. Non importa quanto due colleghi credano di essere discreti, c’è sempre qualcuno che capta uno sguardo di troppo, una pausa caffè sospetta o un’uscita sincronizzata dalla porta principale. E così, quando ho iniziato a notare che tra Marco e Giulia c’era qualcosa di più di una semplice collaborazione professionale, ho capito che il dilemma era dietro l’angolo: dirlo o non dirlo?
Le regole del babbo parlano chiaro: “Fatti i cazzi tuoi” è la numero uno, e in casi come questo è un faro nella tempesta. Ma poi c’è anche il lato pratico della questione. Se la cosa diventa ufficiale e il capo lo scopre da qualcun altro, non è che poi si gira verso di me e dice: “E tu non sapevi niente, Arturo?” con quello sguardo che significa “Sapevi eccome, non fare il finto tonto”.

Così, mi trovo incastrato in un limbo aziendale. Da un lato, le pause pranzo allineate al millisecondo e i briefing che improvvisamente diventano lunghi il doppio rispetto al normale. Dall’altro, l’istinto di sopravvivenza che mi dice di stare alla larga dalle questioni sentimentali in ufficio.
E poi c’è la parte più divertente: l’ufficio intero ha già iniziato il toto-scommesse. “Secondo te stanno insieme?” “Ma l’hai visto come le ha passato la penna? Troppo premuroso, dai!”. Ogni minimo gesto viene analizzato come se stessimo risolvendo un caso di CSI. Io, invece, bevo il mio caffè e fingo totale disinteresse. Regola numero uno, ricordate?
Il problema è che più cerco di farmi i fatti miei, più vengo risucchiato nel vortice delle supposizioni. Un giorno, mentre sono in pausa caffè con Sara, lei mi lancia un’occhiata maliziosa e dice: “Dai Arturo, lo sappiamo tutti. Hai visto che Giulia oggi ha la camicia di Marco?”. Io butto giù un sorso e faccio spallucce, ma dentro di me parte la ricerca nei dettagli: davvero è la camicia di Marco? O è solo una coincidenza cromatica? E poi mi chiedo: perché lo sto analizzando anch’io? Devo uscire da questo loop!

Intanto, Marco e Giulia non aiutano. Le battute che si scambiano durante le riunioni stanno diventando sempre più ambigue, e l’aria carica di sottintesi si taglia con un coltello. La ciliegina sulla torta arriva un venerdì sera, quando al solito aperitivo aziendale Giulia sparisce con la scusa della macchina parcheggiata male, e dieci minuti dopo anche Marco si dissolve nel nulla. La chat di gruppo esplode di meme e teorie complottiste. Io mando un’emoji neutra e ripeto a me stesso: “Regola numero uno”.
Ma la verità è che in ufficio non si può tenere un segreto per sempre. Prima o poi, qualcuno lascerà un messaggio di troppo su Teams, una battuta scivolerà fuori posto durante un pranzo aziendale, o peggio, arriverà il primo litigio. E allora sarà il caos. Il capo lo scoprirà e farà la fatidica domanda: “Arturo, ma tu lo sapevi?”.
E io, con la massima naturalezza, stapperò la mia lattina di caffè freddo, fisserò lo schermo del PC e risponderò con il più sincero dei sorrisi: “Io? Ma figurati, capo!”.
