Ci sono momenti nella vita lavorativa in cui ti rendi conto che non siamo tutti sulla stessa barca. E questa realizzazione, ammettiamolo, fa male. È successo ieri, quando il mio collega (che da oggi chiameremo collega di merda), Andrea—sì, proprio lui, quello con cui mi sono sempre trovato bene—mi ha letteralmente fregato sotto il naso davanti agli occhi del capo. Ancora non ci credo.
La scena è stata quasi comica, se non fosse stata tragica. Stavamo lavorando insieme a un progetto importante, una di quelle presentazioni che ti fanno sudare freddo solo a pensarci. Avevamo diviso i compiti, ci eravamo messi d’accordo su chi avrebbe fatto cosa. E io, ingenuo, avevo anche pensato che fossimo in sintonia, una vera squadra.
Ma quando è arrivato il momento della presentazione, Andrea ha tirato fuori dal cilindro una serie di idee e slide che non avevamo mai discusso. E non erano solo buone, erano ottime. Il capo, ovviamente, era entusiasta. Io? Semplicemente pietrificato.
Mentre Andrea parlava con quel suo sorriso da saputello, io lo guardavo e cercavo di capire dove avevo sbagliato. Mi ero fidato troppo? Ero stato troppo trasparente? Avevo sottovalutato il mio avversario? Mentre il capo lo riempiva di complimenti, io mi sentivo come se mi avessero tirato un pugno allo stomaco.
Forse dovrei spiegare una cosa. Sono cresciuto con l’idea che il lavoro di squadra sia sacro. Forse è colpa degli anni passati a giocare a volley, dove il successo dipendeva da come ti coordinavi con gli altri. Ma il mondo del lavoro non è esattamente come il campo da pallavolo, e Andrea me lo ha dimostrato in pieno.
Dopo la riunione, mi sono avvicinato a lui e, con la calma che non pensavo di avere, gli ho chiesto cosa fosse successo. “Ah, scusa Arturo, non volevo metterti in difficoltà, è che mi sono venute in mente queste idee all’ultimo e ho pensato di aggiungerle.” Non voleva mettermi in difficoltà. Certo. Come no. Quel ghigno malefico di chi non voleva fare nulla di sbagliato…
Ma più ci penso, più mi rendo conto che il problema non è tanto quello che ha fatto Andrea, ma quello che ho imparato da questa esperienza. In ufficio, come nella vita, non tutti giocano secondo le stesse regole. C’è chi è disposto a prendere la palla al balzo, anche se significa scavalcare il compagno di squadra.
Per caritài, non sono qui a dire che non si può lavorare insieme o che devi sempre guardarti le spalle. Ma di sicuro ho imparato che un po’ di sana diffidenza non guasta mai. La fiducia va conquistata, e a quanto pare, anche con i colleghi più stretti, è meglio non dare nulla per scontato.
Andrea ha avuto il suo momento di gloria, e io ho imparato una lezione preziosa. Da ora in poi, terrò gli occhi ben aperti e le carte più vicine al petto. Non è una dichiarazione di guerra, ma di sopravvivenza. Perché alla fine della giornata, nel mondo del lavoro, ognuno è per sé, e nessuno verrà a salvarti se non impari a proteggerti da solo.
E così, con un sorriso forzato, ho ringraziato Andrea per l’esperienza. Magari lui penserà di aver vinto, ma io so che questo è solo l’inizio. La prossima volta, sarò io a giocare d’anticipo.
Buon rientro dalle ferie colleghi di merda!